E’ innegabile la sofferenza del Liceo Classico: la semplificazione della comunicazione e del linguaggio massmediatico lo riducono a un altro pezzo della nostra storia e tradizione da rottamare. Sì perchè storia e tradizione sono “roba vecchia”.
Ma consideriamo seriamente la fuga dagli indirizzi che prevedono lo studio delle lingue classiche e interroghiamoci sulle possibili cause? Forse la scarsa considerazione in cui è tenuto lo studio non più sentito, nel giudizio sociale, come momento di crescita personale, culturale e civile; o la altrettanto scarsa credibilità della scuola, che non rappresenta più nell’immaginario collettivo una leva per l’ emancipazione sociale ed economica; o la tendenza diffusa dei ragazzi di oggi – sostenuti dalle loro famiglie – a scegliere percorsi sempre meno impegnativi o professionalizzanti; o ancora gli effetti della crisi economica che distolgono molte famiglie dall’investire negli studi universitari, lunghi e incerti per la collocazione nel mondo del lavoro?
A questo elenco, possiamo aggiungere il radicamento di alcuni pregiudizi fondati su una parziale conoscenza del percorso del Liceo Classico percepito come la sede in cui si formano pochi eletti o qualche studioso privo di una forma mentis “scientifica” adeguata allo sviluppo tecnologico galoppante e inesorabile.
Eppure il Liceo Classico, così come è configurato dopo il 2008 – anno del Riordino dei Cicli del Ministro Gelmini-, con l’introduzione dello studio delle scienze a partire dal ginnasio e l’aggiunta di un’ora di matematica, rappresenta ancora o forse a maggior ragione proprio oggi la scuola che mettendo insieme sapere umanistico e sapere scientifico, senza cadere in un eccesso di frammentazione e dispersione oraria delle discipline, consente di raggiungere una visione unitaria e organica delle conoscenze nella consapevolezza che il sapere è uno solo : puntare quindi sulla sfida di una formazione completa in sè, non immediatamente finalizzata o utile, come autentico patrimonio da spendere soltanto successivamente nel percorso universitario e nella vita lavorativa.
Ma qual è la forza di un liceo classico? Il metodo scientifico proprio dello studio del latino e del greco in cui le nostre alunne e i nostri alunni scoprono quel metodo di lavoro trasversale a tutte le discipline: analisi, individuazione dei collegamenti logici tra gli elementi selezionati, decodificazione ed interpretazione dei significati all’interno di un contesto dato, scelta di una opzione o più opzioni semantiche capaci di rendere il pensiero, verifiche e revisione delle scelte fatte – nella consapevolezza che si tratta di un tentativo sempre ri-vedibile, mai dato una volta per tutte – di un autore antico nella propria lingua. Tradurre è esperienza formativa per eccellenza: significa confrontarsi con il „diverso“ , capirne il contesto storico-culturale, il sistema di valori, i sentimenti e le passioni. Tradurre non è un’operazione meccanica, ma è stimolo costante alla riflessione e alla creatività.
Questa abitudine al tradurre significa anche che non si può prescindere dallo studio dei testi, nelle loro più diverse tipologie, per acquisire quella capacità critica – di scelta, selezione e giudizio – che necessita prima di tutto di analisi e di riflessione, per non rimanere parola vuota.
In conclusione liceo classico come scuola di pensiero e di umanità.
Prof.sse Fiammetta Fazio e Floridi Antonella
Per me fare il Liceo Classico è stato un po’ come leggere uno di quei libri che ti vengono assegnati per la scuola: i primi capitoli scendono piuttosto lentamente, talvolta con fatica. Ma poi scopri quel personaggio, che ti somiglia incredibilmente, e non puoi fare a meno di seguirlo nel corso del romanzo: te ne affezioni talmente tanto che quando arrivi all’ultimo capitolo ne senti già la mancanza. Poi il libro finisce: sei davvero dispiaciuto e ti chiedi se potrai trovarne un altro così appassionante. Quello dipenderà da scelte che verranno dopo, ma di una cosa sei sicuro: senza quel libro, in quel momento, non sarebbe stata la stessa cosa.
Gaia Amadori ex-allieva
Tra un fiore colto e l’altro donato
L’inesprimibile nulla
Il mio burrascoso percorso liceale ha preso le mosse da un semplice e comune: “non so perché, ma voglio sapere perché”. Esigevo ingenuamente un sapere enciclopedico, in grado di dare le risposte ad ogni cosa. Ne ignoravo però le difficoltà. Mi ci volle del tempo infatti per capire che non mi era richiesto un nozionismo fine a se stesso, un sapere impositivo, ma la capacità di non rimanere indifferente a quello che mi veniva trasmesso, di mettermi in discussione dedicandomi ad un ascolto paziente e misurato, ad un impegno costante votato alla fatica e ai sacrifici, e non certo ad una precipitosa e sterile impazienza. Quello che ho appreso è un sapere che va oltre ai banchi di scuola, che ci parla di noi, che sa includere e non escludere la vita. Alla certezza ho quindi sostituito il dubbio, capace di abbracciare delle domande bellissime, pure, che da sole sono più illuminanti di qualsiasi risposta.
Sono perciò grata di rendere omaggio ad un liceo a cui devo tanto di ciò che sono, che ha lasciato, in me come in tanti altri, un segno e non una semplice impronta. E con ciò è una soddisfazione, in merito al riconoscimento tributatogli, poter dire che il valore affettivo non discosta in nulla dal valore effettivo.
Virginia Di Bari ex-allieva
Ho terminato i miei studi presso il liceo classico Carlo Alberto lo scorso anno scolastico, e attualmente frequento un corso in inglese di economia internazionale e management presso l’Università Bocconi di Milano. Posso senza dubbio affermare che è vero che usciti da un liceo classico ci si può iscrivere anche a facoltà scientifiche (come hanno fatto molti dei miei ex compagni di classe) e frequentare i corsi con successo: una buona parte dei miei colleghi, infatti, ha una maturità classica e, nonostante non abbiamo mai studiato economia o alcuni ambiti della matematica, gli esiti degli esami che fin ora abbiamo sostenuto sono molto soddisfacenti. Questo perché il liceo classico insegna ad imparare, a faticare ed impegnarsi nello studio e, soprattutto, ad appassionarsi a ciò che si studia. Però, benché mi sia iscritto a una facoltà universitaria che segna una sorta di discontinuità con gli studi liceali, non rinuncerei mai a quello che ho imparato nei mei cinque anni al Carlo Alberto: ciò che lascia il liceo classico è una sensibilità straordinaria nei confronti del prossimo e del mondo che ci circonda, che ci è “utile” per il solo fatto che siamo uomini. In questo senso, “giù le mai dal liceo classico!” è una sorta di grido da parte di professori e, sottolineo, studenti in difesa di una scuola che davvero plasma uomini nuovi, capaci di riflettere ed esplorare solitari il proprio animo, cosa che, certo, a fatica può essere “utile” praticamente, ma che allo stesso tempo è di vitale importanza per la nostra società.
Federico Ohle ex-allievo